Se non siete nuovi al mondo delle criptovalute, probabilmente avrete sentito parlare di metodi di consenso, concetti essenziali per le transazioni e la sicurezza delle criptovalute.
Infatti, nella tecnologia blockchain, la validazione delle transazioni avviene attraverso una validazione distribuita e non grazie a quella di un ente centrale. Il cosiddetto consenso della rete: per verificare le transazioni, i nodi devono concordare su ciò che è accaduto; se un nodo tenta di manipolare o commettere transazioni fraudolente, sarà noto grazie alla natura pubblica e immutabile della blockchain.
Proof-of-stake e proof-of-work sono conosciute come meccanismi di consenso e si differenziano in base a come stabiliscono quali utenti possono aggiungere transazioni alla chain, incentivando i buoni attori e rendendo estremamente difficile e costoso il lavoro di chi opera contro la rete (entrambi i meccanismi di consenso hanno conseguenze economiche che penalizzano chi cerca di compromettere la rete). In questo modo si riducono le transazioni fraudolente, come per esempio i double spending.
Come funzionano i due meccanismi di consenso?
In un sistema governato dalla proof-of-work, il corretto funzionamento della blockchain è garantito dai cosiddetti miners che, con l'utilizzo di potenti hardware, tentano di risolvere complessi problemi matematici. Con questo lavoro, i miners possono contribuire alla creazione di nuovi blocchi e validare nuove transazioni, ricevendo un compenso in criptovaluta.
Nel modello proof of stake, i validatori sono invece i cosiddetti stakers che dimostrano la propria affidabilità come validatori in base a una serie di regole che dipendono dalla "quota" che hanno nella blockchain, ovvero quanti token sono disposti a impegnare. Anche in questo caso, i validatori ricevono una ricompensa in criptovaluta, non per il lavoro svolto, ma per l’impossibilità di utilizzare temporaneamente le criptovalute in “staking”.
Gli svantaggi della proof-of-work
La proof-of-work richiede una potenza di calcolo significativa, che comporta quindi un consumo elevato di energia, costi maggiori e impatto ambientale non indifferente. Basti pensare che con il passaggio da PoW a PoS, Ethereum ha ridotto i consumi energetici per le validazioni di circa il 99,95%.
Un altro problema sollevato da alcuni è che, a causa della competizione tra i miners per ottenere le ricompense, un piccolo numero di miners controlla la blockchain, portando a una sorta di centralizzazione de-facto. È importante notare, tuttavia, che i pool di mining sono costituiti da singoli miners o da gruppi più piccoli di miners, che sono liberi di ritirare la loro hashpower se non sono più d'accordo con la direzione del pool di mining più grande.
Gli aspetti negativi della proof-of-stake
Il problema principale della proof-of-stake è che richiede un investimento iniziale spesso elevato. È necessario acquistare un numero sufficiente di token nativi di quella criptovaluta per qualificarsi come validatore, il che dipende dalle dimensioni della rete. In teoria, le persone devono essere ricche o guadagnare abbastanza per acquistare una quota della rete, portando a una blockchain “esclusivamente ricca”. In parte questo problema viene ovviato con le staking pool in cui, equivalentemente alle mining pool, più utenti uniscono le proprie risorse per potersi permettere di diventare un nodo validatore.
Conclusione: quale meccanismo è il migliore?
Come abbiamo visto, proof-of-stake e proof-of-work hanno entrambe pro e contro, e la scelta di un metodo rispetto all’altro dipende dalle esigenze della rete.
È molto probabile che entrambi i meccanismi di consenso, così come altri meno diffusi, faranno parte del mondo cripto a lungo termine, ma quello che è sicuro è che il passaggio di Ethereum da PoW a PoS getterà le basi per uno sviluppo ancor più massivo di progetti blockchain.